a cura di Valerio Ricciardelli
a nome dei figli, nipoti e pronipoti dei reduci della 144ª Compagnia Marconisti

ESINO LARIO – Oggi, domenica 30 ottobre, si ricorda il quarantacinquesimo anniversario della morte del generale Enrico Mino, all’epoca Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, caduto a Girifalco in Calabria sul Monte Covello, in circostanze ancora ignote.

Il 31 ottobre 1977, alle pendici del Monte Covello in località Rimitello, a Girifalco (CZ), cadde l’elicottero AB 205 su cui viaggiavano sei Carabinieri: il Generale di Corpo d’Armata Enrico Mino, Comandante Generale dell’Arma, il Colonnello Francesco Friscia, Comandante della Legione di Catanzaro, il Tenente Colonnello Luigi Vilardo, aiutante di campo del Comandante Generale, il Tenente Colonnello Francesco Sirimarco, Comandante del Centro Elicotteri di Pratica di Mare, il Tenente Francesco Cerasoli, pilota della Base Elicotteri di Vibo Valentia, e il Brigadiere Costantino Di Fede, motorista del Centro Elicotteri di Pratica di Mare.

Il Generale Mino si trovava in Calabria per conoscere di persona i luoghi dove muovevano le cosche della ’ndrangheta, all’epoca attive nei sequestri di persona, e insieme ai suoi collaboratori stava effettuando una ricognizione nelle aree di Rosarno, Taurianova e Reggio Calabria. Non ci furono superstiti.

I pochi resti del comandante Mino sono sepolti a Esino Lario dov’era nato, nel sacrario dei caduti realizzato nella chiesetta di S. Nicolao, all’inizio del viale che conduce alla chiesa parrocchiale. La commemorazione di rito sarà fatta con la partecipazione delle Autorità civili e di molte autorità dell’Arma.

L’ultima volta che la ricorrenza fu celebrata con solennità è stato in occasione del ventennale della morte, nel 1997, promossa da monsignor Bruno Colombo che fu parroco di Esino e che raccolse le memorie e l’eredità spirituale del comandante Mino.

1° maggio 1975, Chiesa parrocchiale

Don Bruno, che strinse un’amicizia profonda con il generale Mino e che raccolse molte sue testimonianze, talune ancora non note, prima della morte del comandante, assieme al sindaco Bertarini, fu molto vicino alla sorella Maria Teresa che morì anch’essa pochi anni dopo e fu sepolta nel cimitero di Esino.

Don Bruno e il sindaco Orazio Bertarini aiutarono e assistettero la sorella del generale Mino per far fronte a tutte le incombenze istituzionali di commemorazione del Comandante.

Ancora si ricorda la prima commemorazione nazionale, fatta a Boario Terme nel 1978 e organizzata dalla Associazione Nazionale Genieri e Trasmettitori d’Italia nel tempio della Madonna delle Nevi.

In quel tempio si onorò la memoria di Enrico Mino, perpetuando il suo ricordo di soldato esemplare, di “Cavaliere senza macchia e senza paura”.

17 settembre 1978, Boario Terme, Maria Teresa Mino, don Bruno e il sindaco di Esino Bertarini

Don Bruno divenne l’esecutore testamentario spirituale di Mino, raccolse le sue carte, i suoi diari, le sue testimonianze, anche quelle riconducibili al periodo della Seconda guerra mondiale, e fu per lungo tempo, fino alla sua morte per tutti i carabinieri dell’Arma, il punto di riferimento più autorevole per continuare a ricordare l’opera del loro comandante caduto a Girifalco.

Ora, parte di quell’eredità e di quelle carte, sono custodite secondo le indicazioni di don Bruno, dal nipote Giovanni Colombo, perché possano essere utili a ricordare e tramandare alle giovani generazioni l’operato e l’esempio di un concittadino così illustre.

Del generale Mino, quasi tutti gli esinesi ne fecero la conoscenza solo nel 1973, a seguito della sua nomina a Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri. Solo lì scoprirono che Mino era invece nato a Esino Superiore, nell’aprile del 1915, perché figlio del primo medico condotto residente del tempo, e che rimase in paese fino all’età di cinque anni.

Solo mio padre, Ricciardelli Amadeo della classe 1916, conosciuto come Palmiro, ne sapeva qualcosa di più e già da tempo intratteneva parecchi rapporti con il generale, per il fatto casuale di aver appartenuto alla pluridecorata 144ª Compagnia Marconisti in Africa Settentrionale, comandata dall’allora giovane tenente Mino.

Anche la testimonianza, raccontata spesso da mio padre, e più volte confermata da un suo ex commilitone è abbastanza singolare.

Si era alla fine di novembre del 1941, in Africa Settentrionale, in zona di operazione di guerra, nella fascia di avvicinamento tra il confine libico e l’Egitto, prossimi a supportare l’avanzata del fronte verso El Alamein, quando mio padre per esigenze di rafforzamento degli organici della 144ª compagnia, venne trasferito dal reparto precedente nella nuova compagnia, che tanta storia ha avuto da raccontare.

Le ragioni sono presto dette. Le compagnie dei marconisti nel territorio sconfinato dell’Africa Settentrionale, che erano al servizio del Comando Superiore, dovevano garantire in situazioni spesso di impossibilità, un efficiente collegamento tra tutti i reparti militari, le varie stazioni di comando, lo Stato Maggiore e il Governo italiano. Una inefficienza nel servizio portava spesse volte e irrimediabilmente a perdere i contatti con i reparti, di cui molti disseminati nel deserto africano, senza punti di riferimento, correvano il rischio di andare incontro a serie difficoltà.

La 144ª Compagnia Marconisti era considerata, dallo Stato Maggiore, una compagnia d’élite, composta dai migliori marconisti dell’esercito, quasi tutti con grande esperienza anche per aver frequentato, durante il servizio militare prima della guerra, le migliori scuole di trasmissione dell’esercito. Era composta da uomini provenienti prevalentemente dalle classi di coscrizione dal 1910 al 1916, e aveva come comandante uno dei più giovani brillanti ufficiali del Genio, già dotato di grandi capacità organizzative e tecniche, e di una grande leadership personale.

Mio padre, quando giunse in “fureria”, l’equivalente del reparto addetto all’amministrazione della compagnia e dichiarò le sue generalità al furiere Favalli, un simpatico mantovano che rincontrò spesse volte dopo la guerra, si sentì dare, assieme al benvenuto, l’informazione che era compaesano del comandante di compagnia.

La notizia, in quei frangenti poteva sembrare quasi una fortuna, ma quando mio padre chiese il nome del comandante e gli fu riposto “tenente Mino”, rispose con decisione e forse con delusione per l’opportunità venuta meno: “a Esino non c’è nessun cognome Mino, si deve trattare di un errore”.

Invece non era così e le cose si chiarirono nel giro di breve tempo, quando il comandante incontrando i nuovi arrivati spiegò a mio padre, quasi incredulo, di essere nato a Esino Superiore nel 1915, perché figlio del medico condotto.

Lo stupore e l’emozione furono enormi, anche perché scoprirono di aver frequentato l’asilo di Esino Superiore assieme, di cui si ha anche testimonianza in una bellissima fotografia della classe.

Esino Superiore 1919, bambini dell’Asilo

La famiglia di Mino giunse a Esino nel 1914, a seguito della nomina del padre Alfredo a medico condotto residente. Non era usuale che un medico potesse a quell’epoca risiedere in un paesino di montagna: non vi arrivava ancora la carrozzabile, completata solo dieci anni dopo, e si giungeva fin lassù solo per una faticosa mulattiera, che per i benestanti o chi avesse problemi di salute poteva essere percorsa su una poltrona ancorata a una slitta e trainata da un mulo, mentre per gli altri non rimaneva che il percorso a piedi. Ma non solo, mancavano anche abitazioni sufficientemente adeguate ad accogliere famiglie di un ceto sociale benestante, come poteva essere quella di un medico.

1914, l’arrivo a Esino dalla vecchia mulattiera

Fortuna volle, che era appena terminato il fabbricato del nuovo Asilo di Esino Superiore, proprio ai margini dell’abitato, e in una posizione veramente confortevole.

1912, l’Asilo di Esino Superiore

Nel fabbricato erano stati ricavati, oltre ai locali necessari all’Asilo d’infanzia, anche altri sette locali resi in fretta abitativi per l’uso del medico, che saranno successivamente trasformati a dimora delle Suore del Cottolengo giunte in paese verso il 1920 per gestire la nuova scuola.

Il dottor Mino contrattualizzò con l’amministrazione dell’Asilo, rappresentata dal parroco del tempo, l’accomodamento e l’affitto di quei locali che si trovavano al primo piano dello stabile, così che il figlio Enrico, quando iniziò a frequentare l’allora scuola d’infanzia non doveva che scendere una rampa di scale per giungere al locale dei bambini.

Enrico nacque il 10 aprile del 1915 e fu chiamato anche Alfredo, Annibale, Napoleone e Pasquale, già prevedendo una carriera militare di alti comandi e responsabilità. Fu battezzato da don Angelo Vergottini, appena giunto in parrocchia dopo pochi giorni dall’abbandono rocambolesco dei preti Fondra.

Dal registro di battesimo di Enrico Mino

La famiglia di Mino rimase a Esino per circa cinque anni, poi il padre si trasferì ad Albenga, in una nuova condotta medica certamente più comoda di quella esinese, dove prese residenza per trasferirvi l’anno successivo tutti gli altri componenti. Lo deduciamo anche dalla notificazione di Cresima di Enrico.

A sostegno della signora Olga, la moglie del medico, per le faccende di casa e la cura di Enrico, provvide la Paolina, meglio conosciuta come la mam Paola, che trovandosi il marito emigrato in California doveva provvedere da sola anche alla cura dei suoi figli.

Alcuni coscritti della classe 1915 all’ingresso dell’Asilo

Il comandante Mino rincontrò la Paolina, con grande emozione, solo in occasione della sua prima visita a Esino il primo maggio del 1975, già nelle vesti di Comandante Generale dell’Arma.

1° maggio 1975, l’abbraccio con mam Paola

1° maggio 1975, suor Teresina Superiora dell’Asilo mostra al generale i locali dove è nato

Durante il fronte d’Africa, nella Seconda guerra mondiale, le frequentazioni tra Mino e mio padre e le occasioni di raccontare delle cose esinesi furono poche. Mio padre, era spesso dislocato in appostamenti di stazioni radio in mezzo al deserto e più prossime alle linee del fronte. Solo il giorno di Natale del 1941, mentre prestava servizio radio al Comando Superiore, ricevette la visita del comandante. Anche se era il giorno di Natale, non fu possibile la distribuzione del rancio per la mancanza dei rifornimenti provenienti dall’Italia che ormai venivano sempre più intercettati dagli aerei inglesi, di stanza a Malta, che bombardavano e affondavano le navi italiane nel Mediterraneo.

La situazione non era tra le migliori e il comandante Mino consapevole del disagio e della fame dei suoi uomini, in quella occasione raggiunse mio padre portandogli un pezzo di cioccolato. Fu l’unica volta, forse per l’occasione natalizia, in cui ricordarono Esino, il comandante con vaghi ricordi dell’asilo e dei compagni che gli tiravano i sassi, forse perché era un bambino proveniente da una famiglia agiata. L’episodio lo racconterà ancora nel suo ritorno a Esino nel maggio del 1975

Mio padre rimase in forza alla 144ª fino in prossimità della battaglia di El Alamein, quando anche il comandante Mino, proprio per la sua grande esperienza e capacità organizzativa venne promosso e subito dirottato a responsabilità superiori.

L’addio di Mino dalla compagnia lasciò un groppo in gola a tutti i soldati.

Nel suo stile sobrio, che già faceva trasparire il carattere di un uomo delle istituzioni, il 20 agosto del 1942, ebbe a concludere il suo discorso agli ufficiali, sottoufficiali, graduati e genieri della compagnia dicendo: “Seguitate a compiere come prima, come sempre, come sapete compierlo voi, il vostro dovere. Tenete sempre alto il nome della vostra Compagnia: un giorno sarà per voi motivo di orgoglio e di soddisfazione e forse unico premio, il poter dire di averne fatto parte”.

Un graduato nel suo diario scrisse:” il saluto del Comandante ai suoi soldati non avrebbe potuto essere più commovente. Inquadrati, in silenzio, soli nel deserto, egli ci rivolse la parola e la sua fu una raccomandazione soltanto: tenete sempre alto il nome della 144, un giorno sarà per voi motivo d’orgoglio e di soddisfazione e FORSE UNICO PREMIO il poter dire di averne fatto parte. Poi, accompagnato da due volontari partì senza voltarsi verso il suo nuovo destino, laggiù nel deserto. E quando il vecchio O.M. (camion) che lo trasportava scomparve alla nostra vista dietro il ciglio dell’uadi (letto di un torrente, quasi un canyon o canalone in cui scorre un corso d’acqua a carattere non perenne), ognuno di noi si ritirò nella sua tenda con un nodo alla gola…”

Di lì a pochi mesi la situazione precipitò e dopo la battaglia di El Alamein tutte le forze dovettero ritirarsi in Tunisia dove, il 13 maggio del 1943, a Enfidaville, il generale Messe dichiarò la resa senza condizioni.

Si deve alla opera intelligente e attivissima di Mino se nella sterminata regione del Sahara-Libico, prima e durante il difficile ripiegamento in Tunisia, i collegamenti radiofonici funzionarono con continuità e prontezza, assicurando il buono svolgimento delle operazioni e salvando molte vite umane.

Tutti poi caddero prigionieri e con alterne fortune trascorsero quasi altri tre anni di prigionia, chi in Inghilterra, chi in America, chi nelle Indie. Mio padre e tanti altri commilitoni della 144ª finirono dapprima in Scozia e poi nel Galles ad Ogbourne Maizey e furono rimpatriati solo agli inizi del 1946. Mino con altri ufficiali, trascorse la prigionia nei campi di Egitto e raccolse alcune sue memorie nel diario pubblicato nella storia della 144ª compagnia, dal titolo: i Reticolati.

Fu rimpatriato a fine luglio del 1946, dopo oltre sette anni di interrotta lontananza oltremare.

La lettura delle memorie del comandante Mino del periodo di prigionia, assieme ai diari e alle storie dei suoi soldati, racchiuse nei cinque volumi della Storia della 144ª Compagnia Marconisti, mi ha permesso di cogliere le radici di quei principi e valori che diventeranno le fondamenta della nostra Carta costituzionale, sulle quali si sono poi state costruite le istituzioni della nostra Repubblica.

Gli uomini della 144ª, pur essendo figli di una cultura militare di un regime totalitario, che ha trascinato l’Italia nel sanguinoso disastro della Seconda guerra mondiale, si sono comportati con dignità e con coerenza, sacrificandosi nel nome di quella legge suprema che sia chiama DOVERE. Hanno capito di essere stati dalla parte sbagliata, protagonisti e vittime di un regime scellerato che i valori della Resistenza hanno combattuto, creando le nuove condizioni per la rinascita di un Paese libero e democratico.

Il comandante Mino, già prima della capitolazione finale, nella solitudine del campo di prigionia ebbe a scrivere il suo monito e la sua esortazione che volle indicare nelle parole: NON PERDONARE e RICORDARE e che sono ben esposti vicini alla sua tomba nel Sacrario di Esino, ma che voglio riportare.

Dal libro: I Reticolati

Attorno ai nuovi valori della nostra Costituzione e delle istituzioni repubblicane, i reduci della 144ª Compagnia Marconisti hanno iniziato a ritrovarsi con il loro vecchio comandante che, nel frattempo e per alti meriti, aveva assunto posizioni di responsabilità sempre più importanti, diventando un Ufficiale Generale di alta classe con incarichi di grande responsabilità e prestigio. Fu anche consigliere militare aggiunto (per l’Esercito) del Presidente della Repubblica.

Nel 1963, gli ex combattenti della 144ª Compagnia Marconisti, si costituirono in una associazione di reduci di guerra dell’Africa Settentrionale, e diedero vita, assieme al loro ex comandante a molte iniziative organizzate nei tradizionali raduni regionali e nazionali, che vedevano sempre la presenza del comandante Mino.

Io partecipai giovinetto, nel 1970 al raduno di Bergamo, dove per la prima volta incontrai il generale Mino che a quell’epoca era già stato nominato generale di Corpo d’Armata in Sicilia. Mio padre lo rincontrò di nuovo, dopo ben 28 anni, e assieme ricordarono l’episodio del Natale del 1941. A me invece chiese che gli parlassi di Esino. Da allora iniziò una corrispondenza regolare e mi ricordo che fu il comandante Mino che con insistenza convinse mio padre a presentare la richiesta al Ministero della difesa per la concessione della Croce di Guerra, assegnatagli poi nel 1971 per più di due anni ininterrotti passati al fronte.

A febbraio del 1973 si seppe della nomina del generale Mino a Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri e solo il primo maggio del 1975 tornò a visitare Esino. Io fui testimone di quell’evento. La corrispondenza tra il comandante e mio padre continuava regolarmente, anche nel nuovo ruolo del comandante di maggior responsabilità. Quando il generale era preso dalle sue occupazioni, sopperiva con grande disponibilità il maggiore Vilardo, suo assistente, che morì anch’esso a Girifalco.

1° maggio 1975, l’accoglienza del sindaco ing. Pensa, di don Bruno e di alcuni reduci della 144ª

Mino tornò a Esino il 16 ottobre del 1977, solo due settimane prima del tragico evento di Girifalco, amareggiato per le responsabilità di cui era stato investito per la fuga clamorosa dall’ospedale Celio del criminale nazista Kappler, responsabile della strage delle Fosse Ardeatine.

Sul piazzale del Municipio, il generale dopo aver ricevuto dal sindaco Bertarini il riconoscimento di cittadino emerito, rivolse ai suoi concittadini un saluto che si è prolungato, con intensa carica emotiva, per ben ventidue minuti. Alla fine, la gente l’ha commentato interpretandolo come un testamento, e distanza di anni potremmo aggiungere: una profezia, un presentimento.

16 ottobre 1977, l’accoglienza del sindaco Orazio Bertarini

16 ottobre 1977, il generale Palombi comandante della divisione Pastrengo

In quei giorni, dalle note scritte successivamente da don Bruno Colombo, il comandante aveva risposto anche a una lettera di don Piero Castioni, il Cappellano: “…Non le nascondo che la lettura della sua missiva, che naturalmente mi ha riportato col pensiero al mio paese natale e alle tanto brave e semplici persone che vi abitano, ha costituito per me motivo di conforto, tanto più necessario nel non facile momento che sto attraversando”. La lettera era datata 30 settembre 1977; il 16 ottobre, due settimane dopo, il saluto testamento-presentimento.

Mino era già prossimo al pensionamento e aveva deciso al termine del suo mandato di trasferirsi a Esino, assieme alla sorella Maria Teresa. Lui, uomo di mondo, delle istituzioni, dopo aver servito lo Stato, aveva voglia di fermarsi, di avere una casa nella tranquillità e di potersi ritirare a riflettere. Aveva fatto queste confidenze a don Bruno che stava già predisponendo una abitazione del beneficio parrocchiale.

16 ottobre 1977, nei prati di Bigallo la ripartenza da Esino: l’ultima foto del generale Mino

In effetti, il comandante Mino viveva a Roma in un piccolo appartamento e addirittura il suo letto altro non era che una vecchia brandina militare. Non avendo una famiglia, viveva solo con la sorella, e dopo il lavoro, dedicava tutte le sue energie e le sue sostanze ad aiutare i suoi collaboratori più bisognosi. Fu padre e fratello maggiore di molti. Conservo una testimonianza recente di un amico, che orfano di un maresciallo dei carabinieri, fece la scuola nel collegio degli orfani dell’Arma e ricordava come il sabato pomeriggio, il comandante Mino fosse solito recarsi da loro, con numerosi regali e dopo la distribuzione dei pacchi consentiva che questi bambini salissero sulla sua Fiat 130 guidata dall’autista, che nel cortile del collegio, faceva scorrazzare e divertire i fanciulli.

Il 31 ottobre del 1977, nel tardo pomeriggio, la notizia della caduta dell’elicottero a Girifalco sul Monte Covello in Calabria, sul quale si trovava il generale. Sgomento e panico; seguirono subito continui contatti con Roma, con il Comando Generale e la sorella, e con Milano, il Comando della Divisione Pastrengo e con il generale Palombi, molto legato a Mino. Dopo ore di attesa angosciante, passata la mezzanotte, giunse la telefonata del colonello Corsi, a nome del generale Palombi, che ruppe l’esilissimo filo di speranza.

I pochi resti martoriati del generale, tenuti insieme dalla tuta militare, erano attorcigliati attorno ad un alberello. Insieme con lui gli altri ufficiali e sottoufficiali, tra cui il buon Vilardo. Ne seguirono i funerali di Stato a Roma, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli accompagnati da molti esinesi, e poi i resti della salma vennero portati a Esino.

3 novembre 1977, il corteo funebre

Don Bruno, in una delle sue ultime commemorazioni, ebbe a dire della morte del generale Mino: “…L’ultimo tragico atto di una nobile vita chiusa in maniera imprevista, assurda, ingiusta, impietosa, e fino ad ora non senza una zona di mistero. Ma forse qualcuno sa o potrebbe o doverne sapere di più”.

La sua morte ha colto tutti di sorpresa creando un vuoto dentro di noi ed una meraviglia che sa dell’incredibile”. È quanto riportato da un estratto dal Bollettino dell’Istituto storico e di cultura dell’Arma del Genio-fascicolo 113.

Lo stesso Bollettino aggiunge: “E’ impossibile parlare di una figura tanto nobile ed elevata qual era il generale Mino, ma ci accingiamo a farlo per onorare la sua memoria e rendere omaggio alle sue opere che continuano a vivere, nonostante la sua scomparsa, quasi a voler tenacemente testimoniare la sua nobile figura. Uomo instancabile, esempio raro di attaccamento al dovere…stroncato dalla morte proprio per essere ancora una volta, fedele ai suoi ideali ed ai suoi elevati sentimenti di cittadino e di militare, mentre si recava a visitare reparti di carabinieri che si erano distinti nelle operazioni per la tutela dei cittadini”.

E ancora don Bruno ricordava “che molte furono le attestazioni di stima e di affetto, prima e dopo la sua tragica morte, all’interno e all’esterno dell’Arma. Ma certamente, insieme alla montagna di queste attestazioni, vi erano anche insinuazioni amare, e invidie e gelosie che non sono mancate, e il generale lo sapeva e le individuava con lucidità e dove ci è riuscito le ha superate e dove non c’è riuscito, con fermezza, le ha sopportate e senza vendicarsi, pur potendolo fare”.

Ancora don Bruno ricordava che il generale gli diceva, ricordando quegli eventi: “Siamo nella gabbia dei leoni”.

Ma si comportava con spirito di combattente, in nome di quella legge suprema che già dal campo di prigionia del Sahara, chiamava DOVERE. E la imponeva a sé stesso, prima di ricordarlo agli altri.

E don Bruno faceva ancora osservare: “che sotto questo aspetto, Mino era piuttosto laico-kantiano: il dovere come legge suprema, non il dovere spettacolo che non ha voluto anche nell’ora suprema. Ma in questo c’era anche la coincidenza con la parola di Dio: “Ascolta Israele! Queste sono le leggi. Osservale e vivrai”.

Nel ricordo dei militi caduti e dei feriti in attività di servizio, nel suo primo anno di Comandante Generale dell’Arma ebbe ad esortare. “Non dimenticateli. Essi ti chiedono per l’onore dell’Arma e per il bene dell’Italia, di non essere all’occorrenza, da meno. E guarda fiducioso all’avvenire, comunque esso si presenti, perché sempre arride il successo a chi ha fede e speranza e, sorretto da saldi principi, opera per una giusta causa”.

Per parecchi anni, anche i reduci della 144ª ricordarono con affetto il loro comandante.

Nel 1978, il tradizionale convegno nazionale venne organizzato a Esino con la presenza di 200 reduci.

C’erano tutti i capi stazione della 144ª, coloro che avevano fatto la storia di quella compagnia e officiò la messa padre Edoardo Formato, fratello di padre Romualdo il cappellano della divisione Acqui che fu testimone dell’efferato eccidio di Cefalonia.

Oggi, dopo 45 anni dalla morte del comandante Mino e dopo ormai ottant’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, anche i figli di quei reduci, Giorgio Puppi di Bergamo, Luigi Guizzetti di Brescia, Valerio Ricciardelli di Esino Lario, conservano il ricordo dei sacrifici patiti dai loro genitori durante la guerra e la prigionia, e hanno ridato vita alle memorie della 144ª Compagnia Marconisti e del suo comandante, perché assieme all’Arma dei Carabinieri, alle Istituzioni e a tutti coloro che conobbero e furono vicini al generale Mino, ciascuno al suo posto secondo il suo ruolo, si faccia ancora propria l’esortazione di don Bruno: “ Quale omaggio migliore al generale Mino, se non quello di accogliere il suo messaggio e gridarlo agli altri: “La speranza è legata alla fedeltà al Dovere”.

Gagliardetto della 144ª Compagnia Marconisti C.S. custodito da Giorgio Puppi

La divisa e la sciabola del generale Mino custoditi da Giovanni Colombo

Sacrario di Esino Lario, con la tomba del generale Mino; sulla sinistra la riproduzione di una radio da campo dei marconisti della 144ª destinata ai presidi del deserto

 

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