MILANO – “Educare alla complessità per costruire il futuro” è il titolo di un libro molto interessante scritto dall’esperta Paola Parente e presentato giovedì alla libreria Hoepli di Milano, che “aiuta ad accompagnare le “Next generations”, gli innovatori del futuro., ad affrontare le sfide del XXI secolo” come è scritto nella prefazione di Francesco Profumo, già ministro dell’istruzione con il governo Monti.

Tra i presentatori, assieme all’autrice nota ricercatrice nazionale e a Lorella Carimali pluripremiata docente di matematica per le sue grandi intuizioni sull’importanza della materia, c’era l’esinese Valerio Ricciardelli, noto anche per essere genealogista e storico locale, invitato come esperto dell’argomento per dissertare sullo stretto legame che c’è tra il mondo dell’economia, il mondo del lavoro, il mondo della scuola e quindi per le scelte consapevoli che devono fare i giovani e le loro famiglie nei percorsi di crescita dei ragazzi in maniera strutturata e consapevole.

Nei prossimi mesi, molti giovani, secondo i calendari usuali, dovranno scegliere il loro futuro cammino scolastico, che poi inciderà anche sul loro futuro cammino professionale.

I momenti delle scelte non sono sempre facili, spesso sono accompagnati da fattori emotivi, da rappresentazioni della realtà un po’ superate e obsolete, da non conoscenze, ma poi le conseguenze di scelte non accompagnate da un sufficiente orientamento rischiano di lasciare delle profonde conseguenze, sugli stessi giovani, sulle famiglie, sulla scuola, sull’economia, sul sistema Paese in generale.

L’occasione di questo nuovo libro “ben fatto”, come commenta Ricciardelli è il punto zero per iniziare a parlare molto seriamente di orientamento e fare in modo che tutti i soggetti interessati, dai decisori delle politiche scolastiche, alla scuola, al mondo del lavoro, alle aziende, a tutto il sistema manageriale, agli educatori, alle famiglie e ai giovani, diventino consapevoli che l’orientamento non è un orpello scolastico, una attività secondaria da infilare in qualche modo nelle scuole, ma è invece un processo di accompagnamento lungo, duraturo e ben fatto.

È interessante far osservare che l’argomento sollevato dal libro sta riscuotendo interesse non solo nel mondo della scuola, ma anche tra i manager aziendali e gli imprenditori. Le ragioni derivano dalla grande preoccupazione che le scelte scolastiche e lavorative, non sufficientemente accompagnate da un serio processo di orientamento, siano anche causa del grave mismatching, ormai quasi patologico, tra il bisogno di nuove professioni e la carenza di persone tecniche, di competenze e di saperi nelle aree economiche e sociali necessarie alla crescita del Paese.

Anche qualche imprenditore valsassinese (compreso il sindaco di Cortenova Sergio Galperti, industriale) ha partecipato alla presentazione del libro, segno che tutti i territori, pur nelle loro diversità, per le criticità che stanno affrontando o che prevedono di affrontare, ne sono coinvolti.

L’intervento di Ricciardelli ha voluto ricondurre la parte più concettuale dell’argomento ben raccontata nel libro e ben sintetizzata dall’autrice e dalla professoressa Carimali, al pragmatismo di un piano di fattibilità.

“Ribadendo quello che hanno già detto le relatrici, l’orientamento non è una materia scolastica che si insegna, ammesso che la si conosca, ma è un lungo e duraturo insieme di differenti attività, che richiedono differenti competenze e quindi il coinvolgimento di differenti soggetti, per cui l’orientamento è un processo complesso che deve affiancare i giovani nella comprensione delle realtà, per un lungo periodo, almeno fino a quando sono riusciti a fare le loro scelte di vita, di scuola, di lavoro, acquisendo tutta quella strumentazione tecnica e concettuale che consenta loro di muoversi con autonomia”.

Ricciardelli ha anche ribaltato il paradigma che spesse volte è ancora utilizzato: “se un giovane ha delle buone performance scolastiche viene indirizzato verso le scuole liceali, mentre se non ha delle buone performance scolastiche è più probabile che sia indirizzato verso le scuole tecniche o professionali”.

“Questa esemplificazione che si trascina da decenni è il male della nostra scuola ed è un unicum nel panorama europeo, ed ha legittimato la percezione nell’immaginario comune dell’esistenza di un sistema scolastico di élite, quello dei licei, e uno meno di élite quello degli istituti tecnici e professionali. Su questa anomalia, tutta italiana, si è poi realizzata la grande disaffezione verso le professioni tecniche e quindi la drastica e continua riduzione degli iscritti nelle scuole tecniche e professionali, che ha portato oggi a quella che chiamiamo “emergenza professioni tecniche” che significa che le aziende non trovano più tecnici e non sono in grado, molte volte, di affrontare le sfide e le opportunità in cui sono coinvolte”.

“Tra l’altro – ha aggiunto l’esperto – questa asimmetria si è ribaltata anche sull’istruzione post diploma, legittimando solo il percorso universitario e non consentendo di affiancare al percorso universitario un sistema di formazione superiore stabile di pari dignità. Oggi gli ITS sono solo una piccola risposta al problema, non sufficiente, e non stabile. Allora, se non si parte dalla realtà economica e sociale del Paese, chiedendoci dove vogliamo andare, nel contesto sempre più complesso in cui ci troviamo, non possiamo nemmeno avere una idea di quale SCUOLA e di quale ISTRUZIONE e FORMAZIONE ha bisogno il Paese. E ci limitiamo ad un altro vecchio paradigma che per sapere cosa deve fare la scuola per innovarsi, riferendomi per esempio alle scuole tecniche, si debba chiedere informazioni o consigli all’azienda “sotto casa” o alle aziende. E sempre per rimanere nei vecchi paradigmi si pensa che fare orientamento significhi invitare a scuola un imprenditore o un manager che racconta cos’è una azienda. Tutto ciò non è orientamento, al più se è fatto bene, è semplicemente una attività informativa. Orientare, come scritto nel libro di Paola Parente, è una attività molto più complessa”.

“Quanto avviene spesso nelle nostre realtà – ha concluso Ricciardelli – ha quindi dell’incredibile e per accorgersene sarebbe sufficiente fare un benchmarking con qualche altro paese, per esempio con la Germania o anche la Svizzera, per renderci conto che l’orientamento è ben altra cosa di quello che si fa in non pochi casi. Sarebbe anche solo sufficiente andare nel vicino Canton Ticino per vedere come sono ben organizzati i due sistemi: quello universitario della Svizzera Italiana con l’USI (università della Svizzera Italiana) e quello parallelo e di pari dignità della scuola universitaria professionale della Svizzera Italiana della SUPSI. Ciò non significa che, anche da noi, non ci siano eccezioni di best practices, ma queste non costruiscono e non rappresentano un sistema di orientamento coerente con quanto ha bisogno il Paese, ma solo una buona eccezione. Quindi, per occuparsi di orientamento servono molte conoscenze e molte competenze in svariati campi. L’orientamento è fatto da tante attività diverse, e non possono essere concentrate solo in alcuni momenti dell’anno scolastico; è un percorso continuo. Per cui l’orientamento è un processo fondamentale del mondo della scuola. Questo processo deve essere allocato all’interno delle istituzioni scolastiche, dove devono esserci le figure professionali degli orientatori, perché l’orientatore è un “mestiere”. Certo che poi ogni docente deve anche essere in grado di dare una impronta orientativa nell’insegnamento della sua materia, ma questo è solo una parte dell’orientamento. Allora capite che l’argomento è complesso e non può essere lasciato alle improvvisazioni di ognuno; occorrono scelte e decisioni dall’alto. Per cui, prima di orientare i giovani bisogna orientare che si deve occupare di orientamento e siccome l’orientamento richiede una conoscenza e competenza multidisciplinare, occorre che costoro acquisiscano queste conoscenze e queste competenze. È un percorso lungo, bisogna partire dall’altro, coinvolgere tutti i portatori di interessi, ma è l’unica strada seria sia pur impegnativa che possa portare a dei risultati utili. Il rischio invece che possiamo correre, per la quantità enorme di soldi del PNRR anche finalizzati per l’orientamento, è che si spendano in modo inappropriato, senza nessuna regia o visione di sistema, magari pensando che l’orientamento sia solo la “costruzione della piattaforma informatica per far incontrare domanda e offerta di lavoro”.

I soldi non sempre sono la soluzione dei problemi. Molte volte servono invece prima le idee e la definizione delle cose da fare e come farle, ma ciò richiede conoscenze e orientamento.

Ecco perché il tema dell’orientamento non riguarda solo i giovani e le loro famiglie, ma ogni decisore di scelte, che per essere ben fatte hanno bisogno di essere ben orientate.