SORDEVOLO (BI) – Presentata a Sordevolo la ricostruzione sistematica di 500 anni di storia della famiglia Maglia (Maia) raccolta nel libro di Valerio Ricciardelli.

La sala civica del Comune di Sordevolo ha accolto una delegazione della Val d’Esino che ha accompagnato l’autore, ingegner Valerio Ricciardelli, per la presentazione pubblica del nuovo libro sui Maglia (Maia), famiglia storica di Sordevolo ormai in via di estinzione. A fare gli onori di casa il sindaco di Sordevolo Alberto Monticone con il parroco padre Luciano Acquadro ed altri amministratori locali. Dal Lario, in trasferta, il vice sindaco del Comune di Esino Lario Maura Dell’Era e Alessandra Mauri rappresentante del Comune di Perledo.

“Un ramo dei Maia – afferma Ricciardelli – famiglia sordevolese, di antiche origini, ormai quasi estinta, nella prima metà del Cinquecento, lasciò le terre del biellese per migrare in territorio lariano, diocesi di Milano e oggi provincia di Lecco, dove si è diffusa in molti rami in Val d’Esino nei comuni di Esino Lario e nella frazione Gittana di Perledo, e nella limitrofa Valsassina, con discendenze che hanno raggiunto ben sedici generazioni”.

Tutto è raccontato nel volume Storia e genealogia dei Maglia (Maia) – da Sordevolo alla Val d’Esino, scritto da Valerio Ricciardelli, originario di Esino Lario. “La prima annotazione – ha raccontato Ricciardelli – riguarda la grafia del cognome: i Maia migrati nelle terre lariane, per gli errori di grafia frequenti nelle trascrizioni dei tempi passati, divennero poi Maglia, ma mantennero colà, fino ai giorni nostri, il soprannome di Biella, Biel, Biei, indicante il luogo di provenienza”.

Il volume consegnato da Ricciardelli, di ben 300 pagine, contiene la prefazione del parroco di Sordevolo e di monsignor Bruno Bosatra direttore dell’Archivio Storico Diocesano di Milano, e racconta con molta dovizia di particolari la storia e la genealogia dei fratelli sordevolesi, figli di un Francesco Maia e di Violanda de Breveris, che si trasferirono colà, probabilmente assieme ad altra gente di Sordevolo come si evince dalle fonti documentarie analizzate dall’autore.

Sono interessanti anche le ipotesi fatte da Ricciardelli, che i Maia migrarono nel flusso delle migrazioni economiche per l’esercizio di un mestiere, come capitava molto spesso ai maestri artigiani dell’epoca. È probabile che per raggiungere le terre lariane abbiano percorso le vie di comunicazione del tempo che collegavano il biellese con il comasco, per poi raggiungere, via lago, la prima località di approdo chiamata Gittana.

Lungo quelle vie, sin dai tempi più antichi, si muovevano anche le genti che dalle terre dello stato di Milano, a cui apparteneva il territorio lariano, raggiungevano la Val d’Aosta e il Vallese, soprattutto per il mercato della lana. Parte del tragitto si inerpicava lungo il percorso storico devozionale che conduceva ad Oropa, dove i pellegrini e i viandanti trovavano anche ospitalità e avevano occasione di conoscere altre genti. Ed è proprio ad Oropa, che troviamo già tra il Quattrocento e il Cinquecento molte famiglie sordevolesi, tra cui i Maia, come maestri da muro e artigiani dei tetti in lose per l’edificazione della ecclesia et domus sanctae Mariae.

Proprio i Maia che giunsero nelle terre lariane furono indicati come teciari o teciàt che nel dialetto locale indicavano la loro grande maestria nella costruzione dei tetti in lose o in piode, che a quei tempi riguardavano però solo gli edifici importanti. È allora da supporre che la migrazione dalle terre del biellese fosse da ricondurre alla necessità di ricerca di nuovi cantieri di costruzione di opere importanti, dopo che terminarono i lavori di Oropa. Se ne ha testimonianza, come scrive Ricciardelli, nel contratto per l’ampliamento della chiesa parrocchiale di Esino datato 1600, ma ciò che conferma la provetta maestria dei bravi teciari provenienti da Sordevolo, è la stipula nel 1622 del contratto a Milano per l’edificazione della chiesa di S. Carlo e del sacro Monte di Arona, di cui si fa cenno nel libro.

I Maia giunti in Val d’Esino e i loro primi discendenti conobbero direttamente S. Carlo e furono cresimati da lui come evidenziato nei documenti parrocchiali in occasione delle due visite pastorali del 1566 e del 1582. Che il presule fosse in odore di santità, già in occasione delle sue visite pastorali alle parrocchie della Val d’Esino e Valsassina ne parlano gli storici e che il ricordo di quelle visite rimase nei secoli nella memoria di quelle genti è altrettanto noto.

Ciò ci fa supporre che ricorrere ai Maia, già Maglia in Val d’Esino, per edificare la chiesa di Arona, anche se non ne conosciamo gli ulteriori dettagli, se non che un Maglia morì sul monte di Arona e là fu sepolto nella primavera del 1623, era conferma della loro maestria e della loro capacità di svolgere opere importanti. Forse, scartabellando altri atti dei notai che hanno rogitato nelle terre lariane nel Cinquecento e Seicento, si potrebbero trovare altre costruzioni importanti fatte dai Maglia, certamente edifici religiosi, essendo quello il periodo fecondo per la formazione di nuove parrocchie e spesso la costruzione di nuovi edifici ecclesiastici.

Il rincontro a distanza di cinquecento anni tra le Comunità di Sordevolo e della Val d’Esino apre nuovi orizzonti per lo studio e la diffusione della storia locale, che certamente troverà terreno fertile in iniziative culturali tra le istituzioni scolastiche sordevolesi della Val d’Esino e della Valsassina. Se lo augura padre Luciano, il parroco di Sordevolo, affermando che in questo tempo di società liquida, citando Zygmunt Bauman, in cui tutto scompare nelle sabbie mobile del presente, ritrovare le radici è fonte di salute fisica e spirituale.

Ecco perché le due comunità che si sono ritrovate si rivolgono ai giovani, alle scuole, agli insegnanti, ai luoghi dove lo studio della storia e delle origini della propria comunità forma le nuove generazioni, per lanciare loro il testimone dei ricordi del passato, che il libro suoi Maia, da Sordevolo alla Val d’Esino, descrive con molta cura, lasciando l’onere alle nuove generazioni di non disperderli nell’oblio ma di continuare a raccontarli.