«D’un tratto, gli Austriaci cessarono di sparare. Io vidi quelli che ci stavano di fronte, con gli occhi spalancati e con un’espressione di terrore quasi che essi e non noi fossero sotto il fuoco. Uno, che era senza fucile gridò in italiano:
– Basta! Basta!
– Basta! – ripeterono gli altri, dai parapetti.
Quegli che era senz’armi mi parve un cappellano.
– Basta! Bravi soldati, non fatevi ammazzare così.
Noi ci fermammo, un istante. Noi non sparavamo, essi non sparavano»

Eppure poi si riprese a sparare, e già a lungo avevano sparato i fucili e i cannoni, dall’Isonzo alla Marna, dalle feritoie e dalle buche delle trincee scavate nelle rocce delle montagne, o nella terra morbida delle pianure.

Era il 24 maggio del 1915 quando anche l’Italia decise di entrare nella Guerra inutile strage. Ma chi fu, davvero, a decidere? Perché in certe decisioni è racchiuso il senso degli anni avvenire. Non decisero certo i soldati, i contadini male armati perfino per gli occhi di Cadorna, quelli che lasciarono le famiglie e che venivano fucilati se imprecavano contro il delirio. Ma chi decise il delirio?

Non c’è un abisso della storia dell’umanità nel quale non siano coinvolti i potenti. E anche in questo caso a spingere per l’entrata in guerra fu una ben precisa classe sociale, che grazie al conflitto si poté arricchire.
Ma nel clima di cento anni fa chissà dove saremmo stati noi che adesso leggiamo e scriviamo dei drammi della grande guerra.

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