ESINO LARIO – Italia Adamoli la decana delle arazziere della prestigiosa Scuola degli Arazzi di Esino, fondata e diretta dal parroco don Giovanni Battista Rocca, compie oggi cento anni. Italia, è nata il 10 gennaio del 1923 a Esino Inferiore, prima che i due comuni fossero uniti, figlia di Margherita  Barindelli e Giovanni Adamoli. La famiglia degli Adamoli giunse a Esino verso la metà del Settecento proveniente da Narro.

Itala fu battezzata da don Luigi Polvara per l’assenza del parroco. Don Luigi era il fratello di monsignor Giuseppe Polvara che da poco aveva fondato a Milano la Scuola del beato Angelico, per l’arte cristiana. La circostanza di essere stata battezzata da un sacerdote che in qualche modo avesse a che fare con l’arte è un fatto curioso, forse attraverso l’acqua del battesimo a Italia è stato trasmesso l’amore e la passione per la tessitura artistica. Infatti, diventata signorina, fu una delle prime allieve della prestigiosa scuola degli arazzi di Esino, fondata e diretta da don Giovanni Battista Rocca, diventandone poi una delle arazziere più brave e infine maestra delle più giovani tirocinanti.

I ricordi di Italia, e la sua grande gentilezza, hanno aiutato in tempi recenti a ricostruire con grande precisione alcuni passaggi della storia della manifattura esinese, oggi pressoché sconosciuta. Il merito di questo importante lavoro è di Maria Taboga, responsabile del laboratorio di restauro degli arazzi del Quirinale, la più grande esperta assieme a Nello Forti Grazzini di arazzi italiani, francesi e fiamminghi È grazie alla dottoressa Taboga, aiutata dalle carte dell’archivio di don Rocca, e alle sue numerose ricerche, l’aver rintracciato ogni arazzo prodotto dalla scuola esinese. Italia, in questo lavoro di ricostruzione della storia dell’arazzeria di don Rocca, ha incontrato più volte Maria Taboga, a cui ha raccontato non solo gli aspetti tecnici caratteristici degli arazzi esinesi, ma anche le curiosità di molte opere e molti aneddoti che dalle carte di don Rocca non erano ancora emersi.

Per la produzione artistica esinese, che ebbe nelle tessitrici dell’arazzeria delle grandi protagoniste, tra cui Italia, le edizioni della Triennale di Milano dal 1940 al 1957 rappresentarono la vetrina privilegiata in cui esporre le opere, premiate con medaglie e riconoscimenti. Alla VII Triennale, nel 1940, la manifattura vinse la medaglia d’oro con La Frutta, tratto da un cartone di Piero Fornasetti, che aveva disegnato anche i modelli di altri tre arazzi. Uno di questi panni, dal titolo Arazzo delle armi antiche, che raffigurava un trofeo di guerra, fu acquistato addirittura da Vittorio Emanuele III. La notizia di questo acquisto prestigioso era stata riportata anche in La chiusura della Triennale di Milano e gli acquisti di S.M. il Re e Imperatore, in “Le Arti”, 1940. L’arazzo fu poi inventariato tra i beni della Casa Reale. Si deve a Italia la scoperta che gli arazzi con le Antiche armi, acquistati dal Re, erano stati tessuti in copia: uno raffigurava i trofei integri, l’altro la stessa panoplia, ma con gli elementi vistosamente crepati, forse con un significato allusivo a un agognato tempo di pace in un momento in cui invece cominciavano a soffiare minacciosi venti di guerra. Di questo particolare non si sapeva nulla.

È ancora interessante ricordare altre testimonianze di Italia, che raccontò che le tessitrici arazziere della scuola esinese, non erano pienamente consapevoli delle importanti opere che stavano realizzando. Se da un lato la loro grande maestria era di realizzare un tessuto fedele alla rappresentazione del cartone di un artista famoso, dall’altro lato non conoscevano il mercato dell’arte, dove poi trovavano sbocco quelle opere. È quello che successe con gli arazzi astratti, chiamati dalle arazziere esinesi “I Picassi” volendo con ciò indicare le composizioni geometrizzanti, che rimandavano, nel loro immaginario popolare, al grande artista spagnolo con il quale identificavano tutto ciò che non rientrava nell’arte figurativa.

Infatti, sempre Italia raccontò, che per gli arazzi della Triennale del 1957, dove la produzione della scuola esinese toccò il suo apice sul piano della qualità e della novità, presentando ben dieci arazzi, i tessuti astratti, quelli che le arazziere chiamavano “i Picassi”, furono più facili da realizzare perché non richiedevano l’attenzione che si doveva mettere per tessere, ad esempio, un volto o un paesaggio. Le composizioni erano costruite, in questo caso, con linee diritte o comunque con forme geometriche da riempire di colori uniformi, senza passaggi cromatici.

La carriera artistica di Italia iniziò nel ruolo di filatrice artigiana, la prima attività nel settore tessile, organizzata dal parroco Rocca per dare lavoro alle giovani ragazze di Esino, dopo che aveva realizzato e brevettato una nuova macchina per filare che chiamò “La nuova Rocca”. L’idea originaria del parroco era quella di realizzare una filatura artigianale, che poi per la bravura di alcune tessitrici, tra cui Italia, e per alcune intuizioni geniali del parroco, si trasformò in una scuola e manifattura artistica di prestigio.

Tra i numerosi capolavori, a cui Italia concorse alla tessitura con ruolo importante, ricordiamo La tonnara, di Aligi Sassu, un arazzo delle dimensioni 490×385 cm, oggi esposto nel Comune di Monticello Brianza, così come Gli emigranti, su disegno di Felice Casorati, un arazzo di 180×380 cm, che dopo aver ornato un salone del transatlantico Leonardo da Vinci è oggi esposto presso l’Ambasciata italiana a Berlino.

Di quella scuola e delle sue opere, a cui Italia concorse alla realizzazione, ne fu data ancora grande testimonianza in epoche recenti, nell’importante mostra dal titolo Intrecci del Novecento – Arazzi e tappeti di artisti e manifatture italiane, organizzata preso la Triennale di Milano dal 12 settembre al 8 ottobre 2017. Le testimonianze della scuola di arazzeria di Esino sono riportate, ancora per merito di Maria Taboga, nel bellissimo catalogo della mostra.

L’interpretazione del cartone dell’artista, nel tessuto delle opere esposte è anche e soprattutto merito di Italia, e oggi, quelle forme, quelle composizioni, quei colori, ci aiutano a festeggiare con riconoscenza e gratitudine il suo compleanno centenario.

Contributo di Valerio Ricciardelli