MANDELLO DEL LARIO – Nella breve distanza tra la parrocchiale e il lago, sedeva spesso silenzioso Antonio Stoppani, pensando al tagliente ghiacciaio che formava la gola del nostro lago. Ci immaginava le più “buone e fortunate generazioni”, il geologo scrittore, e per questa scura sera di fine settembre, non si sono affatto deluse le sue aspettative.
La modesta ma non comune chiesa è pronta per i festeggiamenti patronali di Santa Eufemia, la martire quindicenne che nel 303 si oppose a un sacrificio in onore a una divinità pagana e gettata tra i leoni, che intuendone la santità, ne azzannarono solo la mano destra e la risparmiarono, come narrano gli stessi affreschi di Luigi Morgari. E tra le ricche decorazioni eccolo, umile ma trionfante, l’organo italiano costruito dall’organaro Francesco Carnisi sul finire dell’ottocento, prima di inaugurare la sua ultima fatica nella parrocchiale di Morbegno.
A dominarlo il M° Massimo Borassi, eccellente organista poco più che trentenne, protagonista del concerto inserito nella rassegna “Musica nelle frazioni”. Borassi, conosciuto insegnante e abile musicista, potremmo chiamarlo lo Julius Kugy del lecchese, ha dipinto lo spazio sonoro della chiesa creando un momento inimmaginabile. Il programma perfettamente pensato ha lasciato i giusti tempi ad armonie che viaggiavano dalla metà del 1600 fino al tardo Ottocento, proponendo brani capaci di stimolare la nascita dei più diversi sentimenti, dalla malinconia alla fastosità, dalla giocosità all’abbandono. Musiche che hanno unito terre, stati e menti, succede sovente nei concerti, ed è proprio questa l’internazionalità della lingua musicale, che abbraccia popoli e culture senza barricarne i confini. Weckmann, Bòhm, Buxtehude, Valeri, Carr, Morandi, Da Bergamo, in un preciso ordine armonico per esaltare i registri del Carnisi, tipicamente pensati per ricordare nel suono le sonorità bandistiche (flauti, voce umana, trombe). Un concerto che ha rapito le parole, portandole nel nulla, mentre si poteva godere nello spirito di tanta grazia ed elevazione. “L’organo è il re degli strumenti” l’inciso del parroco Don Mario Tamola, che ha espressamente invitato i giovani ad avvicinarsi al linguaggio musicale, perché lingua dell’anima e di una preghiera più viva. Intanto il M° Borassi, dal terrazzo angusto ai piedi delle canne, sorrideva compiaciuto, con quella sua innata umiltà che lo sta facendo navigare tra le soddisfazioni più ampie della musica classica.
Sull’effetto delle note più coinvolgenti, anche due bambini presenti, stupiti da un così nobile suono, sono rimasti attoniti, e interrogavano la mamma per capire da dove uscisse tanta bellezza. Solo una carezza poteva rispondergli, e così è stato, perché un concerto d’organo non dovrebbe essere descritto a parole, ma solo vissuto dal vero. Anche i silenzi “meccanici”, in cui il musicista innesta i registri e preme i pedali, sono momenti per capire la fisicità e la competenza che occorre per sostenere un brano, complicata architettura capace di estasiare. Banjamin Carr compose delle variazioni su “O Santissima”, un brano semplice, dal sapore popolare del repertorio liturgico, che Borassi ha interpretato e riproposto come bis; è un chiaro segnale di ritorno all’essenza delle cose, perché la musica sacra non sia solo virtuosismo.
Scriveva infatti Julius Kugy, alpinista e organista delle Alpi Giulie: “Detesto il virtuosismo, come nel lavoro, in montagna, così nella musica. Maestri dobbiamo cercare di diventare, non virtuosi. Prendere anche le cose facili con maestria e trattarle da maestri: che spesso non è punto facile”.
M. C.