ESINO LARIO – Non potevano mancare reazioni all’articolo pubblicato ieri su Valsassinanews, dal titolo Scuole in montagna, il consiglio di stato detta un “limite” alle chiusure.

Per gli effetti dell’andamento demografico è un argomento importantissimo riportato all’attenzione da Uncem, non solo per il nostro territorio ma per tutti i comuni montani e dei territori disagiati, che inciderà sulla loro sopravvivenza.

Si potrebbe pensare che siamo solo alle prime discussioni sul da farsi, rese attuali dalla recente sentenza del Consiglio di Stato, ma così non è.

Abbiamo, ancora una volta interpellato il nostro columnist Valerio Ricciardelli, originario di Esino Lario, che anche di queste politiche scolastiche che non riguardano l’istruzione tecnica, l’economia, il mercato del lavoro e il welfare, se n’era già occupato dieci anni fa, promuovendo e organizzando anche una iniziativa regionale sul nostro territorio.

Ecco come è andata. C’è da chiedersi se da lì non si debba ripartire.

 

Memoria corta o disinteresse della politica?
Una occasione per non disperdere energie e reinventare di nuovo la ruota

È la domanda che mi sono fatto, pensando alla nostra classe politica e ad alcune istituzioni quando ho letto l’interessante articolo pubblicato da Valsassinanews, ma ripreso anche da altri giornali, sulla recente sentenza del Consiglio di Stato, riportata da Uncem, l’Unione dei Comuni, Comunità ed Enti montani, che ha ribadito un principio fondamentale: le scuole montane possono chiudere solo in casi del tutto eccezionali.

C’è voluto addirittura il Consiglio di Stato, con una sua sentenza, dove esaminando la soppressione di un istituto scolastico situato in un comune montano, ha evidenziato che le piccole scuole dei territori disagiati, a partire da quelli montani, non svolgono soltanto un compito formativo, ma assumono anche la funzione di presidio di coesione sociale e di contrasto allo spopolamento, diventando grandi comunità di memoria.

Era invece compito della politica occuparsene, da sempre disattenta su un tema così importante.

Meno male che Uncem, chiamando in causa anche Indire (Istituto nazionale di documentazione, innovazione, ricerca educativa), stia tentando di aprire un serio confronto con il Ministero della Pubblica Istruzione e del Merito per discutere finalmente e decidere cosa fare del sistema scolastico nei territori disagiati, alla luce della crisi demografica. Ma non è la prima volta che ce ne occupiamo.

Sicuramente c’è anche una memoria corta tra tutti i soggetti che se ne dovrebbero far carico, o ancor peggio un disinteresse, essendo la scuola come scrivo da tempo, assente dall’agenda della politica o certamente non ai primi posti.

Valerio Ricciardelli

Dell’argomento, oggetto dell’attenzione odierna, iniziai ad occuparmene dieci anni fa in occasione del secondo convegno mondiale organizzato da Unesco a Città del Messico sul tema delle learning cities, ovvero delle politiche educative e scolastiche di cui si sarebbero dovuti occupare gli Stati e le amministrazioni in funzione delle loro specifiche realtà.

Io fui tra i progettisti di quella seconda edizione-la prima fu fatta a Pechino due anni prima- ma il mio ambito di competenza e di intervento riguardava l’istruzione tecnica legata alle politiche economiche e sociali.

Fui invece coinvolto, casualmente, anche ad esprimere un parere su come si potesse affrontare il tema delle scuole con pluriclassi nelle zone rurali e disagiate del Messico, dove il fenomeno rappresenta più del 60% delle istituzioni scolastiche. Fu in quella occasione che ricordando la mia esperienza di scolaro che aveva frequentato le pluriclassi della scuola di Esino iniziai ad occuparmi dell’argomento, che seppur non di dimensioni rilevanti nel nostro Paese, influenzerà moltissimo la sopravvivenza di molte scuole di montagna e di altri territori disagiati, mettendo a rischio il futuro delle stesse comunità. È’ il motivo dell’intervento del Consiglio di Stato.

Studiando in maniera più approfondita l’argomento e anche visitando alcune esperienze di valore che ci sono da tempo sul territorio, mi sono accorto che le piccole scuole di montagna, o comunque dei territori disagiati, non erano da vedersi come un problema, dove alla loro soppressione si dovrebbe contrapporre una sentenza del Consiglio di Stato, ma invece rappresentano una risorsa importante per il nostro Paese per disegnare e progettare un pezzo di scuola del futuro. Su questa idea, da tempo, iniziava a consolidarsi una nuova visione di scuola che in parte è rimasta nella “penna” o nei “sogni” dei riformatori o dei “pensatori” delle cose della scuola.

Ho tentato di occuparmene anch’io, non nascondendo l’interesse campanilistico per i comuni montani del territorio lecchese. Dopo ben due anni di lavoro dall’evento Unesco di Città del Messico, contattando anche una classe politica disattenta e disinteressata, riuscì finalmente nel gennaio del 2018 (ben più di sette anni fa) a promuovere, progettare, organizzare e condurre quello che chiamai un Seminario di start up del progetto piccole scuole per fare grande un Paese, a carattere regionale, sotto la responsabilità politica del PD regionale.

L’iniziativa si svolse a Lecco, nonostante fosse la provincia con il minor numero di scuole nei territori disagiati.

Per comprendere l’accuratezza della preparazione di quell’evento e la consistenza delle qualificate testimonianze dei relatori (non tutti citati) è sufficiente leggere questo documento che produssi per l’occasione per promuovere l’iniziativa. Pur con una discreta partecipazione, il seminario per diverse ragioni non fu partecipato dalla politica e dalle istituzioni chi avrebbero dovuto occuparsene.

Tra l’altro, oltre ad avere tra i testimoni il presidente dell’Indire e la Coordinatrice tecnica delle aree interne della Presidenza del Consiglio – le istituzioni che oggi cita Uncem-, ci sono state altre importanti testimonianze che stavo monitorando da qualche anno, su come costruire concreti modelli di soluzione per queste nuove situazioni di rischio di chiusura di istituti scolastici, che si presenteranno sempre più numerose nel prossimo futuro.

Quindi, in quell’evento non c’erano solo delle analisi del problema, ma anche interessanti proposte di soluzioni e, in qualche modo Uncem poteva essere comunque essere rappresentata da Anci Lombardia, una delle istituzioni presente tra i relatori.

Le relazioni di quel seminario, che offrirebbero ancora degli spunti importantissimi e che avrebbero dovuto essere trasformati in atti, magari facendone un libro “verde” o “bianco” sull’argomento per stimolare discussioni e provvedimenti successivi, giacciono invece negli archivi personali dei volontari che se ne sono occupati.

La politica e le istituzioni che se ne dovevano occupare, per dare un seguito a quel seminario che appositamente avevo chiamato start-up, sono poi mancate. E’ mancato il driver, il guidatore o, meglio ancora, l’owner, colui che doveva tenere in mano la situazione e darne un seguito.

Ben venga allora il risveglio dell’iniziativa di Uncem, questa volta legittimata non dalla sensibilità di alcuni volontari studiosi, ma addirittura da una sentenza del Consiglio di Stato che cita anche l’art.44 della Costituzione.

Ci sono perlomeno i presupposti per riprendere in mano l’argomento. Che sia la volta buona?

Gli studiosi dell’evento di sette anni fa con i documenti che hanno prodotto, come indica bene l’articolo di Valsassinanews, hanno già sul tema un ‘pensiero a prova di futuro’ e avrebbero probabilmente titolo per essere annoverati tra quelle che vengono definite “le migliori teste, guardando politicamente alle migliori pratiche mosse negli ultimi 14 anni sui territori”.

Almeno, per non disperdere energie e reinventare di nuovo la ruota.

RedCult

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NOTA EDITORIALE
Ricorre più volte, nel commento e nella memoria da parte di un esperto a 360° quale il dott. Ricciardelli, il riferimento alla “assenza della politica”.

Ecco, troviamo che, come spesso accade, sia possibile un coinvolgimento di istituzioni e amministratori di vario livello perlomeno in casi come questo – ovvero quando la politica si trova costretta a “sbatterci il naso”, indotta magari da una sentenza. E ci auguriamo dunque che  – a fronte del pronunciamento del Consiglio di Stato – a qualche “autorità” ma magari anche a esponenti di partiti o amministrazioni, coinvolti nella materia, si accenda una lampadina, che scartabelli i lavori puntuali e precisi di persone come il nostro columnist e che in definitiva si inizi a considerare qualche prospettiva diversa e migliore rispetto ai consueti vittimismo, pessimismo, nichilismo in campo scolastico.

E non solo

S.T.

 

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