BELLANO- Il Circolo Legambiente “Lario sponda orientale” ha espresso la sua solidarietà alla popolazione afflitta da disagi e danni causati dall’esondazione dei torrenti della Val Varrone e della Valsassina.

“Ancora una volta si è resa manifesta la fragilità del nostro territorio. Non è la prima e, temiamo, non sarà l’ultima. Le conseguenze potranno essere meno gravi se si interviene sulla montagna, a mezza costa e a valle, rimediando agli errori compiuti da una pianificazione urbanistica poco attenta al rischio idrogeologico e ponendo fine all’edificazione in luoghi non appropriati che, oltre a mettere a rischio chi vive e lavora, riduce le aree di esondazione naturale dei corsi d’acqua.

Bene ha fatto Andrea Vitali a ricordare le frane di Oro a Bellano del 1997 che provocarono una vittima, aprirono una voragine nella strada, trascinarono nel lago molti ponticelli, bloccarono la provinciale, la superstrada e la ferrovia. Dopo quell’evento furono realizzate opere idrauliche di canalizzazione delle acque, ma poco è stato fatto a monte dove i boschi abbandonati e i terrazzamenti distrutti non ci fanno sentire al sicuro. Osserviamo che le vallette canalizzate e cementate sono ora ricoperte di terra e arbusti.

Legittimo chiedersi anche se le recenti opere sul Varrone con la rimozione dei massi dal greto per cementarli sull’argine abbiano ridotto la naturale capacità dell’alveo di rallentare la corsa dell’acqua. Molte e diverse quindi le considerazioni che si possono fare a cominciare dalla qualità e opportunità delle opere sulle valli e sulle strade agro-silvo-pastorali.

C’è la necessità della manutenzione naturale dei corsi d’acqua, dei terrazzamenti, dei boschi, per conservare quell’opera di regolazione e contenimento che per secoli gli abitanti hanno prodotto in sintonia con la natura. Quello che ci può porre un poco al riparo degli eventi disastrosi è la capacità di pensare più in là, di trasformare quello zelo collettivo, che esplode dopo l’evento, in una duratura campagna di manutenzione e cura del territorio nelle sue parti più fragili e abbandonate.

La cura della montagna è possibile solo se la montagna viene abitata, se si mantengono o si riprendono le attività dell’agricoltura, dell’allevamento e della silvicoltura in modo sostenibile. Qui si pone la necessità di un intervento, promosso dalle comunità locali e dai loro amministratori, ma necessariamente sostenuto da istituzioni con più ampie competenze territoriali, Regione e Stato.

Con uno sguardo più consapevole al futuro del territorio vicino e una pratica di cura, possiamo diventare capaci di agire anche su un fronte nuovo e difficile, quello del cambiamento climatico globale, riconosciuto come causa di eventi meteorologici violenti. Qualcuno lo nega, molti fanno niente o poco, dai governi ai cittadini che faticano a cambiare stili di vita. Abbiamo poco tempo sostengono i giovani di “Fridays for future” e gli esperti di tutto il mondo riuniti nell’IPCC che sollecitano gli stati ad adottare misure senza precedenti per fermare la febbre del pianeta”.