In balia del lupo e privati di pascoli, nel disinteresse delle istituzioni, gli allevatori dell’Alto Lario Occidentale le hanno mandate al macello. L’idea di un progetto per salvarla, lanciata già lo scorso anno, è stata insabbiata per le incomprensioni tra le istituzioni e lo scarso interesse. Una riunione in regione due giorni fa (16/04/2024), fuori tempo massimo, non preparata da indispensabili interlocuzioni, in assenza di interlocutori chiave, ha solo certificato la fine di un progetto mai nato.

La capra lariana (o di Livo) è una delle più interessanti espressioni di biodiversità agricola della Lombardia. Rappresenta uno degli ultimi residui della popolazione caprina alpina ancestrale. Ad essa erano legati alcuni prodotti tipici molto apprezzati dal gastronomo Veronelli: il formaggio grasso d’alpe misto capra, i formaggini presamici, il zìgher (ricotta stagionata).

Negli ultimi anni si è intensificato il problema della predazione da parte di branchi di lupi, ormai stabili in zona. Mentre gli alpeggi dotati di strutture sono affittati a grandi aziende, che caricano bestiame bovino da carne, quelli meno facilmente raggiungibili e comodi hanno visto le strutture per il ricovero degli animali e del personale subire il degrado. Senza poter disporre di piste di accesso, ricoveri, acqua non è possibile custodire gli animali, realizzare dei recinti elettrici notturni per proteggerli, operare con i cani da guardiania che devono essere sempre utilizzati in presenza dei pastori per evitare aggressioni ai turisti. Per di più il contributo per le razze ovicaprine autoctone del territorio è stato dimezzato dalla Regione Lombardia. Così le aziende con capre lariane registrate sono scese da alcune decine di qualche anno fa a poche unità.

Con una lettera inviata al presidente della provincia con Pec il 5 maggio 2023, lettera che non ha mai avuto risposta, il Comitato per la tutela delle persone e degli animali dai lupi dell’Alto Lario lanciava un appello alle istituzioni. Senza sostegni quali contributi per l’assunzione di pastori, la sistemazione di piste di accesso ai pascoli, il ripristino di ricoveri, in assenza di attivazione di forme di controllo del lupo (la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha sollecitato il 4 settembre 2023 le autorità locali e nazionali a utilizzare gli strumenti di controllo del lupo già previsti dalla normativa vigente) “gli allevatori, come hanno già iniziato a fare, saranno costretti a macellare buona parte del patrimonio zootecnico (non solo ovicaprino) della montagna comasca.

Una scelta che implica anche pesanti conseguenze sulla manutenzione del territorio e la prevenzione degli eventi calamitosi con particolare riferimento agli incendi boschivi”.

Non era allarmismo. Lo scorso autunno la Mostra della capra lariana è saltata. In un incontro con il presidente della comunità montana a palazzo Gallio, gli allevatori esprimevano tutta la loro amarezza per una situazione tristissima facendo presente che non vi erano le condizioni per partecipare a una mostra. In quella sede, però, pareva fosse emersa la disponibilità dell’istituzione a cercare soluzioni insieme agli allevatori.

Mario Pighetti, promotore della raccolta firme per chiedere misure di controllo del lupo, che in val Chiavenna ha raccolto 4000 adesioni, in forza della sua esperienza di allevatore di capre e produttore di formaggi caprini nonché di presidente dell’Associazione produttori ovicaprini della provincia di Sondrio, a nome dell’associazione Pastoralismo alpino della quale è rappresentante per la Valtellina e Valchiavenna, si assumeva il compito di stimolare le istituzioni intorno a una proposta che prevedesse il raduno delle capre di diversi allevatori presso un unico alpeggio dove mettere in essere tutte le misure in grado di difendere gli animali dai predatori e valorizzare la produzione del latte. Sarebbe stata un occasione unica, considerando quanto è acuto il problema in zona. La Regione Lombardia avrebbe avuto la possibilità di sviluppare un progetto pilota, non solo valutando le possibilità offerte dalle misure di difesa tradizionali (cani da guardiania e reti elettriche) ma potendo sperimentare anche nuove soluzioni rese possibili dalle moderne tecnologie.

In un contesto controllato, nell’ambito di un progetto regionale, l’eventuale occorrenza di predazioni avrebbe potuto fornire alla regione solidi elementi di documentazione per richiedere l’autorizzazione ministeriale (previo parere dell’Ispra) per l’attivazione delle misure di controllo del lupo.

La proposta, a un certo punto, si stava concretizzando, tanto che diversi allevatori hanno sottoscritto un documento in cui si dichiarava la disponibilità a conferire le proprie capre al “raduno protetto”.

Tempo prezioso venne però perso nell’ultimo scorcio di autunno in tentativi non riusciti di organizzazione di un incontro con gli amministratori pubblici. Finalmente, a fine gennaio, Mario Pighetti incontrava a Gravedona i sindaci. Purtroppo, doveva registrare più perplessità che interesse anche se, nella sostanza, si acconsentiva a procedere e si individuava anche un alpeggio adatto per il progetto. I due mesi e mezzo seguenti sono trascorsi inutilmente senza che i vari attori (i presidente della comunità montana, i sindaci, i consiglieri regionali interessati a sostenere il progetto, gli allevatori, l’associazione Pastoralismo) interloquissero utilmente tra loro e senza che i termini del progetto potessero essere definiti nei tempi utili. Quando, il 16 aprile, si è tenuta in regione una riunione tra amministratori locali e l’ assessore all’agricoltura, riunione alla quale Mario Pighetti, da cui era partita la proposta, è stato incomprensibilmente escluso, il comune aveva già deciso di affidare al Consorzio forestale l’incarico di assegnazione dell’alpeggio (sull’albo pretorio il giorno 18). La regione, non essendo stato attivato per tempo un percorso per predisporre un progetto sperimentale (con il possibile coinvolgimento di Ersaf), non poteva che comunicare che, con le risorse per gli interventi ordinari, il progetto non era finanziabile.

Hanno pesato le diffidenze reciproche che la messa in campo di figure volenterose e competenti come quella di Mario Pighetti non hanno potuto superare, la poca propensione a tentare una soluzione innovativa ma ragionevole per affrontare i problemi che stanno determinando l’estinzione della capra lariana e la fine dei piccoli allevatori e delle tradizioni di cui sono portatori. Potevano essere affrontati e risolti al tempo stesso sia il problema dell’accesso ai pascoli dei piccoli allevatori che quello del lupo. Gli allevatori, impossibilitati a fare altrimenti stanno “mollando” le capre.

Senza custodia e protezione, esse, da qui al prossimo autunno, saranno facile preda per i lupi. Ne verranno perse a decine alla volta, come negli anni scorsi. Le poche rimaste il prossimo autunno andranno al macello. Un’occasione perduta.

Associazione per la tutela della vita e dell’ambiente rurali, Chiavenna (So)
Associazione Pastoralismo alpino, Corna Imagna (Bg)
https://tutelarurale.org/