La questione della revisione del voto di condotta che riempie le pagine in questi giorni di alcune riviste addette alle questioni della scuola, sono il segno evidente di quanto la scuola, nelle sue cose essenziali, non sia più nell’agenda della politica del nostro Paese.

Ora che nella scuola ci siano stati e ci potrebbero essere di nuovo situazioni comportamentali non coerenti con le regole da osservare lo sappiamo da un pezzo. Se il Papa, lo scorso anno ebbe a dire in un suo incontro con il corpo diplomatico che siamo di fronte a una catastrofe educativa, penso che l’esegesi dei termini usati, tra l’altro dal Pontefice, siano più che sufficiente per indicare la fotografia dello stato di fatto.

Non solo, ma a quell’epoca anche l’Arcivescovo di Milano rispose, dichiarando la sua impotenza di fronte al fenomeno, ma chiedendo che fossero aperte tutte le chiese della diocesi una domenica sera per pregare appositamente, affinché il Padre Eterno ci aiutasse a illuminare le menti per affrontare meglio le nostre responsabilità educative.

Il problema dei comportamenti inadeguati nel contesto scolastico è evidente da tempo e sono sì causa, molte volte del lassismo del lasciar correre, ma tutti riconducibili a un venire meno del ruolo educativo della scuola che ovviamente è conseguenza del venir meno del ruolo educativo della famiglia e del contesto complessivo della società.

Allora, anziché coinvolgere i genitori nel governo delle istituzioni scolastiche, spesso in modo improprio e più con effetti di disturbo, sarebbe forse utile inserire uno specifico programma scolastico obbligatorio per un corso per i genitori da farsi all’interno della scuola. Non può funzionare una scuola con gli allievi che non si attengono ai giusti comportamenti del loro ruolo, della loro età e del contesto dove operano, se i genitori non sono i primi attori per indirizzare questi comportamenti.

La scuola ha già di suo un sacco di problemi e non può sobbarcarsi l’onere della supplenza educativa genitoriale.

Il dibattito, anche odierno, tra gli esponenti del Governo e una controparte sindacale e di organizzazione di studenti sulla dimensione punitiva del voto di condotta è una roba anacronistica, come lo è da tempo lo stesso voto di condotta anche a seguito dei tanti maneggiamenti, e non se ne capisce nemmeno l’uso.

A chi serve il voto di condotta? All’allievo, alle famiglie, alla società, alla scuola, alle imprese quando reclutano il personale? Non so quanti saprebbero rispondere a queste domande. E quali differenze ci sono tra un 10, un 9 un 8? Magari quando si arriva a un 7 scatta qualche allarme.

In teoria ogni scuola dovrebbe avere una griglia di valutazione dei comportamenti, da trasformare poi, non so con quale criterio scientifico, nella media complessiva di un numero che, per gran parte degli studenti non serve a niente.

Allora cogliamo l’occasione dei dibattiti, anche inutili, per dare significato a queste valutazioni, che identificarle con un voto di condotta, anche nella terminologia usata, sono anacronistiche.

Noi invece siamo in presenza di giovani, che nelle varie fasce di età si identificano in un ruolo preciso di studente dove c’è una dimensione educativa e una dimensione formativa. Questo ruolo lo si assolve in un contesto organizzativo che è la scuola, dove ci si rapporta con altri attori e nel pieno rispetto delle regole.

Allora non serve un voto di condotta per misurare l’agire dell’allievo, ma semmai un set di indicatori, non più di 4 o 5, ben descritti che rilevano i comportamenti dello studente in questo suo periodo di crescita educativa e formativa.

Quando si seleziona un candidato, magari appena diplomato, si è soliti guardare la votazione delle materie professionali, senza tenere conto che una debolezza in qualche materia specifica è compensabile con facilità con degli aggiornamenti formativi appositamente dedicati. Ma se non si è dei bravi reclutatori, non si riesce a capire se il candidato ha delle criticità comportamentali che invece non sono sarebbero così immediate da correggere, e il voto di condotta non è certo l’indicatore più adeguato a darci informazioni al riguardo. Prova ne è che oggi, in molti colloqui di selezione si coinvolge addirittura uno psicologo.

Invece, se in pagella, ogni anno, in alternativa al voto di condotta ci fossero un set di indicatori comportamentali ben chiari e definiti non per singolo istituto, ma a livello nazionale uguali per tutti e costruiti coinvolgendo i più grandi esperti di educazione (che sono tanti), avremmo delle informazioni straordinarie pe guidare meglio la crescita educativa e professionale dei nostri giovani. Infatti, le informazioni avrebbero un’ampia funzione d’uso, a partire dagli stessi studenti e dalle loro famiglie che troverebbero delle utili informazioni ben formalizzate e dedotte con criteri scientifici, da utilizzarsi con grande efficacia.

Poi è evidente che laddove ci saranno delle situazioni di criticità, occorrerà disporre delle terapie più adeguate a intervenire sia in ambito correttivo, anche con le “punizioni” giuste, che in ambito educativo per riaccordare i giusti comportamenti.

Purtroppo, nella scuola che si deve occupare anche di competenze, occorrerebbe conoscere che oltre le competenze di base, professionali, trasversali e con tutte le altre denominazioni che riempiono la letteratura di settore, ci sono anche le competenze comportamentali che, nel mondo del lavoro sono le più importanti.

E siccome essere studente è comunque un “mestiere”, sia pur tutto particolare, quel mestiere ha delle precise competenze comportamentali che devono essere applicate, osservate, valutate e non ricondotte ad un anacronistico e inutile voto di condotta di cui non se ne capisce il significato, se non quando ci si trova in condizioni di eccezionalità.

di Valerio Ricciardelli

studioso ed esperto
di Technical Education

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