VENDROGNO – La giornata FAI dedicata alla biodiversità si svolgerà a Vendrogno sabato 18 maggio. Sui versanti soleggiati del monte Muggio nei secoli si sono stabilite popolazioni che hanno modellato il paesaggio con la loro opera. La presenza di ricche sorgenti di acqua pura e il clima salubre hanno determinato la rigogliosa crescita della vegetazione e la presenza di una fauna molto variegata, che l’uomo nei secoli ha sviluppato e trasformato in base ai propri bisogni.

Dagli antichi Liguri e Celti, per i quali il territorio era proprietà della collettività, deriva la presenza di ampi spazi comunali, gli alpeggi, su cui insistono diritti di uso civico. Ai Romani si deve la presenza di vie di comunicazione per il nord Europa e la presenza di torri di avvistamento e difesa. La cristianità ha diffuso numerosi edifici di culto testimoniando con essi anche l’asprezza dell’antagonismo fra Riforma e Controriforma in questi luoghi. E il profondo radicamento della fede ha fatto sì che le chiese siano diventate custodi di oggetti di culto, preziose opere d’arte.

L’uomo e l’ambiente si sono vicendevolmente adattati nei secoli. Con l’aumentare della popolazione si sono intensificate le attività agricole sviluppatesi in verticale, per sfruttare appieno le possibilità offerte dalla montagna alle diverse altitudini nel susseguirsi delle stagioni. Un’economia circolare di sussistenza, dove l’allevamento delle bovine da latte, di tipo famigliare e diffuso, oltre ad essere importante per la produzione di burro e formaggio era cruciale per la letamazione di orti e campi coltivati a fraina, segale, patate, mais, vite.

La gestione del bosco svolgeva un ruolo fondamentale per l’approvvigionamento di combustibile e materiali da costruzione. Le selve castanicole erano frutteti curati con attenzione, sfalciati dove possibile e pascolati; persino le foglie venivano raccolte ed utilizzate come strame per il bestiame nelle stalle. Le coltivazioni di vite, gelso, noce ed olivo si sono largamente diffuse.

La pressione demografica della seconda metà dell’Ottocento ha determinato una intensificazione dell’emigrazione in Europa e Americhe alla ricerca di lavoro. La Muggiasca ha sempre vissuto l’emigrazione di manodopera, soprattutto specializzata nella lavorazione del ferro, ma in genere si trattava di migrazioni temporanee, legate al lavoro che costringeva a spostarsi in città o all’estero per poi tornare sui monti, dove le mansioni agricole continuavano ad essere svolte da donne, anziani e ragazzi. Il secondo dopoguerra ha portato allo spopolamento, con conseguente abbandono e decadenza delle abitazioni e degli edifici rurali di supporto.

Negli Anni Ottanta del Novecento, la Muggiasca ha visto un fenomeno contrario: dalla città si sono trasferite alcune coppie intenzionate a vivere di agricoltura e sono nate le aziende agrituristiche che ancora insistono nel territorio. Poche altre si sono aggiunte in seguito, così come si è assistito al rientro di famiglie di pensionati che hanno ripreso, a livello hobbistico, a coltivare parte delle proprietà di famiglia.

Il paesaggio nel frattempo è mutato considerevolmente: la natura ha preso il sopravvento sulle opere dell’uomo. Il bosco, non più regolato e a volte interessato da incendi, ha invaso prati, pascoli, campi e vigne, con essenze anche non autoctone che sopraffanno le altre e ha raggiunto la sovramaturazione, causando crolli e fagocitando muretti a secco ed edifici. La fauna selvatica è aumentata in modo sensibile e a pochi passi dal centro dei borghi si possono incontrare camosci, caprioli, volpi, tassi, faine, poiane, gheppi, picchi, cervi e cinghiali. Questi ungulati stanno, peraltro, procedendo a una vera e propria devastazione degli ultimi prati e pascoli e delle piccole coltivazioni non protette da robuste recinzioni. E la presenza dei cinghiali non è menzionata negli antichi documenti, neppure nei trecenteschi Statuti della Valsassina: sono stati inopinatamente introdotti dai cacciatori e la loro popolazione è aumentata spropositatamente non avendo concorrenti all’interno dell’ecosistema.

La visita di Vendrogno offre la possibilità di osservare le fasi di queste trasformazioni. Camminando nelle viuzze semideserte, in una cantina o nel locale museo, ci si immerge nel passato e si diventa consapevoli del presente. Passeggiando lungo sentieri e mulattiere, illustrati minuziosamente nella recente cartina escursionistica di Bellano, si ha idea dello sfacelo dei boschi abbandonati tra cui occhieggiano relitti del lavoro dell’uomo nei secoli e quelle ancor poche realtà che resistono e operano per preservare il territorio. La ricerca di un nuovo equilibrio all’interno dell’ecosistema Muggio è avviata da tempo, il futuro è ancora da scrivere.