La panchina fuori dal cimitero era insolitamente comoda. Ci si stava volentieri, con la spina dorsale a suo agio e il sedere che non protestava per il troppo duro. D’estate intercettava i refoli d’aria che calavano dai monti; d’inverno, il sole la veniva a carezzare coi suoi caldi raggi.

Simone vi stava seduto a rimirar i cipressi, quel pomeriggio di settembre, quando vide uscire dal cancello del cimitero il suo socio della briscola.

“Camillo!” lo chiamò,  invitandolo a sedersi.

“Ehilà…” fece l’altro, riconoscendolo “Cosa fai in giro?” si avvicinò zoppicante. Era un po’ malmesso alle giunture.

“Son qua a prendere il fresco…” rispose Simone “E tu? Sei andato a cercar fuori il posto?”

Camillo si lasciò andare sulla panca, sospirando. “Beh, non sarebbe una cattiva idea…” considerò serio, chiudendo le mani sul pancione “Ormai non dovrebbe mancare molto…”

“Oh, come sei tetro oggi…”

L’altro levò le spalle. “Prima o poi tocca a tutti di varcare quel cancello, e portati a spalla…”

“Già, non si scappa…”

“Sono andato a trovare i miei vecchi, e già che c’ero, ho fatto un giro per i viali…” disse Camillo.

“Quanti ce ne sono giù, eh?”

“Davvero…” annuì l’altro ” E parecchi li ho anche conosciuti. Troppi” si voltò deciso verso il suo amico “Sai, pensavo una cosa. Fatta eccezione per poche persone, della stragrande maggioranza dei morti non si ricorderà più nessuno una volta che anche i loro discendenti prossimi non ci saranno più…”

” Vero. Cadremo nell’oblio. Ma è anche giusto cosi. Pensa a quanti miliardi di persone sono transitate sulla Terra, come potersi ricordare di tutti?” considerò Simone.

“Esatto. Ma che tristezza…”

“Solo gli eccezionalmente buoni o cattivi hanno diritto all’immortalità…”

“O i super intelligenti…”

“O super stupidi…”

Ridacchiarono.

Alla fine, Camillo riprese: “Pensa a noi due, dopo che saremo finiti gambe all’aria…” mimò il gesto con una mano “Per qualche anno tua figlia ti porterà i fiori freschi e luciderà la tua foto, così come mio figlio farà lo stesso, ma poi?”

“Poi basta, finiremo tutti in quel posto, senza aver più diritto di parola”

“Se non che…”

“Se non che?”

“Tipo, che ne so, vado in municipio e sgozzo tutti quelli che mi si fanno incontro…”

Simone scoppiò a ridere.

“Oppure, regalo tutti i miei averi, metto un saio e vivo di elemosine…”

“Non male…”annuì l’altro “E se diventi uno scienziato e scopri la pillola che guarisce da tutto? Magari anche dalla morte?”

“Eh già, ma allora cade tutto il nostro castello, se non moriamo più…” disse Camillo “E se ti rapisco e poi ti uccido? Dai, tanto sei maturo anche tu, puoi ben sacrificarti per far guadagnare l’immortalità al tuo socio…”

“Uhmm… quest’ultima opzione non è che mi entusiasmi…” e ridacchiarono di nuovo.

Smisero di parlare per qualche istante, e fu allora che si resero conto di uno strano suono.

“Camillo, lo senti anche tu questo sibilo?” chiese Simone, guardandosi attorno con curiosità.

“Si,  non mi sembra un antifurto…”

“Neppure a me. Che sia una fuga di gas?”

“Che fa ‘sto rumore? No, direi di no…”

Si alzarono in piedi, ma tutt’attorno non è che fosse cambiato qualcosa. Era il solito luogo, tranquillo e deserto.

“Sembra anche aumenti d’intensità…” disse Simone, aguzzando gli occhi verso il cimitero.

“Hai ragione…” fece l’altro “Ma cosa sarà?”

Il sibilo aumentava sempre più, ma nessuno dei due riusciva a capire a cosa fosse dovuto.

Quando il sibilo divenne fragore, troppo tardi si resero conto che ormai non c’era più tempo per fuggire: il meteorite piombò su di loro, polverizzandoli.

A futura memoria, una lapide coi loro nomi e le loro foto venne collocata nel punto preciso dell’impatto.

Emanuele Tavola