MANDELLO DEL LARIO – Venerdì 3 maggio alle 21 al Teatro San Lorenzo va in scena lo spettacolo “inVIOLAta”, per la drammaturgia e la regia di Teresa Cecere e David Marzi. A interpretarlo sono tre giovani attrici e cioè: Maria Barnaba, Sandra Di Gennaro e Ilenia Sibilio. Uno show che si inserisce nel Festival della Letteratura 2024.

La compagnia e la regista sono le stesse dello spettacolo “Malala” proposto lo scorso anno sempre al Teatro San Lorenzo. Il 17 dicembre 1966 è il giorno in cui la storia è cambiata. La vita di Franca Viola è una di quelle storie che (quasi) tutti sanno ma nessuno conosce davvero. Questo, perché scandagliare la vicenda familiare e processuale attorno a quella data, ci costringe a guardare dentro una botola scura in cui giace, nascosta, parte della nostra cultura, della nostra legislazione e del nostro retaggio sociale. Franca Viola ci obbliga a realizzare che, dentro casa nostra, esiste un tappeto dove abbiamo frettolosamente provato a nascondere la polvere di un passato che, ancora oggi, sembra non voler sparire del tutto.

All’epoca, l’articolo 544 del codice penale recitava così: “Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”. In altre parole, ammetteva la possibilità di estinguere il reato di violenza carnale, anche ai danni di minorenne, qualora fosse stato seguito dal cosiddetto “matrimonio riparatore”.

Le parole che avete appena letto hanno incatenato per anni decine e decine di donne a dei matrimoni coatti con i propri aguzzini. Fino a quando una giovanissima ragazza, che abitava nella Sicilia rurale di Alcamo, ha detto no. Un anno prima, e cioè il 26 dicembre 1965, Franca Viola, all’età di diciassette anni, fu rapita e violentata da Filippo Melodia, nipote del boss mafioso Vincenzo Rimi. Otto giorni di segregazione, digiuno forzato e percosse. Al momento della sua liberazione, per tutti il matrimonio era la via più scontata, quasi automatica. Per tutti, ma non per lei e la sua famiglia.

Questo fatto innescò un dibattito parlamentare che si concluse soltanto il 5 agosto del 1981 con la legge 442 del ministro Oronzo Reale con la quale vennero abrogati il matrimonio riparatore e il delitto d’onore previsti dal Codice Rocco. Si considerava delitto d’onore quel delitto commesso da un uomo, in stato d’ira nei confronti della moglie, della figlia o della sorella se colpevoli di un atto sessuale illegittimo. L’accusato in virtù di questo articolo aveva una notevole riduzione di pena. Franca Viola ora ha 76 anni vive ad Alcamo con il marito scelto da lei e l’8 marzo del 2014 ha ricevuto l’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana dal presidente Giorgio Napolitano. Nello spettacolo sono presenti più stili narrativi e vengono sviluppati: il viaggio dell’eroina, il dramma familiare, quello giudiziario e la cronaca criminale.

Un altro appuntamento con il Festival della Letteratura organizzato dall’assessore alla Cultura e Istruzione, Doriana Pachera, si tiene oggi, giovedì 2 maggio alle 21 in sala Civica, dove Lorenzo Gambetta presenterà “Pedalando per la libertà”. Un libro che nasce dal cicloviaggio “Staffette Partigiane” dello scorso 25 aprile, per rendere omaggio alle piccole grandi storie incontrate lungo il tragitto che da Reggio Emilia porta a Milano.

Un libro che parla di storia passata, remota e prossima, di memoria, di vita, di scelte e anche di morte. È forte il bisogno rendere il giusto omaggio a chi, nel momento più buio della nostra storia, ha deciso di spendere tutto. Nel libro si è prestata attenzione a non cadere nella trappola di relegare l’intero sforzo delle donne nella Resistenza al mero trasporto clandestino di documenti o istruzioni. Nel libro infatti sono presenti esempi di donne che con le loro azioni, le loro scelte, il loro coraggio, hanno fatto la nostra storia. La bicicletta, strumento democratico per definizione, travalica confini, non conosce limiti territoriali, sublima i pensieri. In maniera “leggera” ma efficace, proprio come una pedalata in mezzo alla sconfinata bellezza della natura, ha scardinato i muri della retorica, ha costruito ponti, ha fermato quello sbriciolamento del senso di comunità a cui assistiamo spesso inermi.

Donne, bicicletta e resistenza. Libertà e democrazia, mai sufficienti se non c’è la liberazione. Voce del verbo liberare, azione di rottura, di risveglio collettivo, che non può essere limitato a una data o a un evento storico ma scandisce sempre i nostri passi e le nostre pedalate. Dal racconto emerge prepotente la voglia di ritrovare un senso di comunità forte, di ricordare, di resistere, di tornare a essere società civile. Anteporre il “noi” all’individualismo, premiare l’altruismo a scapito dell’egoismo. Le storie delle donne raccolte in questo libro rappresentano ferme fondamenta sulle quali provare a edificare una casa comune.