Sull’altra sponda del lago succedono fatti che tocca rileggerli perché sono petali di ridicolo e spavento.

La Procura di Como infatti giovedì 11 maggio, già alle prime ore dell’alba, con ben cinque carabinieri e una serra di carte bollate, ha perquisito in lungo e in alto l’abitazione di Cecco Bellosi, il coordinatore della Comunità il Gabbiano, reo, la notte del 28 aprile, di aver tolto i fiori dalla lapide del dittatore Mussolini a Giulino di Mezzegra, posti poco prima da una squadra di fascisti.

Da qui, mentre si ride con spavento, ci si chiede due cose: a casa la Procura gli ha cercato i piattini dei sottovasi?

Davvero se ti azzardi a toglier i fiori dalla lapide di Mussolini la Procura di Como ti indaga per “danneggiamento aggravato” e ti perquisisce casa, anche se per questa volta senza olio di ricino?

Non è nemmeno questione di priorità, ognuno si dà le proprie, e neppure di dispendio di denari pubblici per stanare e difendere dalla delinquenza delle nostre Città questi criminali botanici che si ostinano a estirpare anche simbolicamente, oltre che nella pratica quotidiana del proprio lavoro, il fiore del fascismo.

La questione è quella che davanti a una denuncia non si sia chiuso il tutto con una telefonata al raccoglitore di erba cattiva.

Perché non è questione del fiore, è del concime che sta nel vaso della Storia.

Paolo Trezzi

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