È ormai evidentissimo, e lo scrivo da tempo, che uno dei più grandi problemi per le nostre aziende è LA GRAVE EMERGENZA DELLA MANCANZA DELLE PROFESSIONI TECNICHE. Infatti, mancano alle nostre aziende industriali profili professionali di medio-basso livello (qualificati), di medio livello (diplomati), di medio-alto livello (in possesso di diploma di istruzione tecnica superiore), di alto livello (laureati).

Questa emergenza è dovuta all’assenza di una adeguata politica scolastica per il rilancio della TECHNICAL EDUCATION  (termine internazionale per indicare l’istruzione e la formazione tecnica professionale), che è una LEVA STRATEGICA assolutamente necessaria per concorrere ad una CRESCITA EOCNOMICA immediata e sostenibile, ad una CRESCITA OCCUPAZIONALE immediata, sostenibile e non precaria, e anche ad una PREVENZIONE ALL’EMERGENZA ECONOMICA.

L’autore Valerio Ricciardelli

L’attivazione di questa leva strategica è però possibile solo se si affronta l’emergenza guardano oltre l’”orticello di casa” e ricorrendo ad una politica scolastica lungimirante, che supera gli interventi di sola “manutenzione dell’esistente”.

Bisogna, innanzitutto, cogliere le opportunità di crescita delle nostre aziende, negli spazi enormi di mercato che l’export potrebbe aprire al nostro “settore manifatturiero del made in Italy”, a partire dai paesi ad alta crescita demografica.

Tutto ciò richiede una visione sistemica dell’economia, della scuola e delle politiche occupazionali. Queste ultime devono essere attivate in un serio e qualificato programma di Education for Employability (E4E).

Continuando a “non vedere il problema” della mancanza di tecnici, ci troveremo innanzitutto, nella impossibilità di crescita per molte nostre aziende manifatturiere, con perdita di competitività e conseguente rischio di chiusura, perché impossibilitate a trovare il personale tecnico di cui avrebbero bisogno. E questo per l’assenza di una adeguata offerta formativa, qualitativa e quantitativa, di TECHNICAL EDUCATION.

Nel frattempo, invece, l’attenzione di chi dovrebbe occuparsi di questi argomenti è rivolta altrove. Abbiamo evidenza di una proposta di legge sul “divieto dell’uso eccessivo delle lingue straniere”, anche nel settore del business, dell’organizzazione degli “stati generali della cultura nazionale”, e del lancio della proposta del “liceo del made in Italy”.

Che siano proprio queste le ricette, o meglio le terapie anche urgenti, di cui ha bisogno il nostro Paese, per far crescere l’economia e l’occupazione?

Sulla proposta di legge per limitare l’uso eccessivo dei termini inglesi mi sono già espresso.
Circa GLI STATI GENERALI DELLA CULTURA NAZIONALE, e della necessità di occuparsene con tanta urgenza, leggo sulla stampa questa affermazione:
“Bisogna rompere il conformismo di potere che per anni ha travolto e offuscato la cultura in Italia; con una rete tra amministratori e associazioni, con la volontà di ridare forza e primato alla cultura ed all’immaginario italiano, collegandolo alla civiltà europea e ai milioni di italiani delle nostre comunità all’estero”. Lo ha detto Alessandro Amorese, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Cultura alla Camera e organizzatore dell’iniziativa “Pensare l’immaginario italiano, stati generali della cultura nazionale”, insieme con Emanuele Merlino e Francesco Giubilei, rispettivamente Capo della Segreteria Tecnica e Consigliere del Ministro della Cultura Sangiuliano, aggiungendo anche che:
“È necessario ridare qualità e palcoscenico a questa cultura che è la base per riportare costantemente la nostra Nazione sulla scena. Liberare la cultura per avere non intellettuali organici ma donne e uomini organici all’Italia, alla sua storia ed al suo futuro”.

Penso che le NOSTRE AZIENDE, quelle che sono funzionali alla crescita del nostro Paese, e che devono ogni giorno occuparsi di “stare sulla scena”, intendendo però “stare sul mercato”, “cercare nuovi clienti”, “fare innovazione”, “creare nuovi prodotti”, “garantire l’occupazione ai propri dipendenti” e fare tante altre cose funzionali al benessere complessivo della nostra “Nazione”, non abbiano un bisogno immediato degli “Stati Generali della Cultura Nazionale”.
Serve altro.

Queste NOSTRE AZIENDE hanno bisogno, invece, che siano attivati con urgenza, gli STATI GENERALI DELLA SCUOLA E DELLA ISTRUZIONE TECNICA, per mettere i politici e i governanti di fronte alla vera emergenza che ha il nostro Paese: il bisogno di una crescita economica e occupazionale immediata, che potrà avvenire solo partendo dal settore industriale del MANUFACTURING (anche del GREEN MANUFACTURING). Dobbiamo di nuovo ricordare, che siamo la SECONDA ECONOMIA MANIFATTURIERA in Europa dopo la Germania. E la crescita delle nostre aziende quindi della nostra economia, che è condizione necessaria per avere anche una crescita occupazionale, potrà avvenire solo se quest’ultime troveranno le GIUSTE COMPETENZE e quindi i TECNICI SPECIALISTICI per continuare a “stare sulla scena”.

Questi tecnici, da tempo non si trovano più, perché da tempo manca una offerta formativa di TECHNICAL EDUCATION all’altezza della situazione e dei bisogni e perché, da sempre, manca una attività di ORIENTAMENTO per capire l’importanza delle PROFESSIONI TECNICHE e per indirizzare, i responsabili alla comprensione del fenomeno, quindi alla ricerca delle soluzioni, e all’accompagnamento dei soggetti interessati: studenti, loro famiglie e docenti, verso scelte scolastiche e formative coerenti anche con le prospettive di sviluppo del Paese.

In questi giorni si parla anche con grande enfasi del Liceo del made in Italy, forse per la concomitanza con la recente manifestazione del Vinitaly 2023.
Mi chiedo: ma la priorità della scuola, anche per il rilancio dell’economia, compreso il settore made in Italy, è il LICEO DEL MADE IN ITALY?
Direi proprio di no e cerco di argomentare la mia affermazione.

La prima osservazione che faccio è la seguente: ma tra coloro che parlano di made in Italy, chi sa veramente cos’è? La domanda è abbastanza pertinente perché molte volte mi è capitato, anche in contesti importanti, di ricevere delle risposte un po’ superficiali, focalizzate solo su settori come il cibo, i vini, la moda, i mobili della Brianza; tutti settori economici importantissimi, ma poche volte si ricorda che la parte preponderante del PIL del made in Italy è composta da quel settore che, un po’ impropriamente, è chiamato MECCANICA STRUMENTALE. Si tratta di un particolare settore del manufacturing, trasversale a molti settori industriali, dove le nostre aziende (ricordo ancora che l’Italia è il secondo paese manifatturiero in Europa dopo la Germania), spesso in una “supply chain lunga”, producono componenti, macchine, sottosistemi e sistemi industriali, ad alto contenuto tecnologico e soprattutto destinati all’esportazione. In questo settore è presente un sottosettore, altrettanto importante e strategico, chiamato OEM, dove la sigla è un acronimo di “Original Equipment Manufacturer” che significa produttori di APPARECCHIATURE ORIGINALI”. Questi sono i veri prodotti made in Italy, quindi ideati, progettati, costruiti in Italia, ed esportati in tutto il mondo. Non dimentichiamo che siamo ancora esportatori di “tecnologia”, spesso innovativa, e “confezionata” in apparecchiature originali e impianti, presenti in tutti i settori merceologici. Questa “tecnologia” è la parte più consistente del made in Italy.
Tutto ciò è poco conosciuto.

Ora, le aziende del settore della meccanica strumentale, che ricomprendono anche la meccatronica, che è una parte preponderante del made in Italy, per poter crescere con successo-in un mercato potenziale grandissimo, si pensi solo ai 54 paesi dell’Africa con una crescita demografica enorme- hanno bisogno di tecnici con vari livelli di competenze, che oggi non si trovano più. Questa carenza è un grave pericolo per la sopravvivenza delle nostre aziende industriali, che si ripercuoterà sull’economia complessiva del Paese.

Questa è la ragione per cui continuo a sostenere che abbiamo bisogno di una POLITICA SCOLASTICA IMMEDIATAMENTE ORIENTATA A UN RILANCIO URGENTE DELL’ISTRUZIONE TECNICA, perché, quest’ultima è una leva strategica importantissima per determinare in tempi brevi una crescita economica sostenibile (a partire dal made in Italy) ed una crescita occupazionale non precaria. E se poi fossimo più visionari, con una buona istruzione tecnica, orientata al supporto delle nostre esportazioni verso i paesi ad alta crescita demografica, riusciremmo anche a fare una buona prevenzione alla emigrazione economica.

Se fossimo capaci di fare un buon benchmarking, almeno con la Germania, si vedrebbe che il sostegno all’esportazione del made in Germany (che è la meccanica strumentale, la componentistica industriale e il settore automotive), è supportato da una grande visione e da un poderoso piano strategico verso i paesi africani, dove il “grimaldello” per aprire le nuove opportunità di mercato alle aziende tedesche è, spesso, l’offerta consulenziale per la costruzione e l’adeguamento di un nuovo sistema di istruzione e formazione tecnica (TVET), in loco, coerente con le politiche di sviluppo del paese in cui si vuole vendere il made in Germany.

Questo è il modello vincente: aprirsi il mercato in cui si vuole esportare, costruendo l’istruzione tecnica locale per formare il personale tecnico necessario ad essere una “testa di ponte” per le aziende che esportano il made in Germany. In tal modo si fa anche “prevenzione alla migrazione economica”.

Perché l’Italia, pur avendo un interessante made in Italy da esportare, non segue il modello tedesco?
Il vero problema per noi, è che non possiamo copiare il modello tedesco, perché prima di proporre ad altri paesi come costruire un nuovo sistema di istruzione e formazione tecnica, da usare anche come “grimaldello” per aprire nuove opportunità di export alle aziende italiane, lo dobbiamo avere a casa nostra.

Ecco perché serve organizzare subito gli STATI GENERALI DELLA SCUOLA E DELLA ISTRUZIONE TECNICA, coinvolgendo anche il Ministero del made in Italy, per rilanciare l’ISTRUZIONE TECNICA, e per mettere a sistema l’ISTRUZIONE TECNICA SUPERIORE, e poi chiedersi se è proprio necessario un liceo del made in Italy, o se la soluzione più appropriata per il rilancio della nostra economia, con una qualificata occupazione, non necessiti di una rete di ISTITUTI TECNICI o di ISTITUTI TECNICI SUPERIORI per il made in Italy.

di Valerio Ricciardelli – studioso ed esperto di Technical Education